REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Pretore di Monza in funzione di giudice del lavoro dr.ssa Cristina Dani ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta al n. 5342/86 del Ruolo Generale, discussa all'udienza del 55.99 promossa da G.A., elettiv. domiciliato in M., via S.M. n. 1, presso lo studio dell'avv. R.S., che la rappresenta e difende come da mandato in margine al ricorso ricorrente contro C.A., elettiv. domiciliata in M., via M.N. n. 8, presso lo studio dell'avv. V.G., che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Michele Picerno, come da mandato in margine alla memoria difensiva Convenuta Oggetto: accertamento di lavoro subordinato; pagamento somma
Svolgimento del processo Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato in cancelleria in data 9.9.98, G.A. esponeva di aver lavorato dal 1.9.81 al 1.12.97 alle dipendenze di C.A., svolgendo mansioni di domestica e di assistenza personale in favore della di lei madre G.M.. Aggiungeva di aver effettuato ogni giorno, per sette giorni alla settimana, 3 ore di lavoro, aumentate a 7 ore giornaliere nel 1991, allorché la G., a causa della rottura del femore, venne ricoverata presso l'Ospedale S.G. di M.. Precisava quindi di essere rimasta creditrice del TFR per un importo pari a i £ 10.550.238, calcolato con riferimento al 5° livello per i dipendenti delle imprese commerciali. Chiedeva quindi che il Pretore condannasse C.A. a corrisponderle tale somma, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. Costituendosi in giudizio, la convenuta eccepiva preliminarmente la nullità del ricorso introduttivo per mancata indicazione del luogo in cui si sarebbe svolto o sarebbe sorto il rapporto di lavoro ed inoltre rilevava che tale mancanza determinava l'impossibilità di valutare la correttezza della individuazione dell'ULPMO e del Pretore territorialmente competenti. Deduceva poi, quale ulteriore profilo di nullità, che, a fronte di una dedotta prestazione di lavoro domestico, era stata contraddittoriamente invocata l'applicazione del CCNL per i dipendenti delle imprese commerciali. Contestava infine la propria carenza di legittimazione passiva, esponendo peraltro che tale carenza era stata riconosciuta dalla stessa ricorrente, che le aveva appunto notificato un atto stragiudiziale di rinuncia al ricorso. A tale proposito deduceva, peraltro, che il predetto atto di rinuncia non era stato accettato, in quanto affetto da una nullità a suo avviso derivante dalla apposizione della riserva di procedere, in separato giudizio, contro gli eredi di G.M.. Chiedeva pertanto che il Pretore: a) accertasse e dichiarasse la nullità del ricorso; b) accertasse e dichiarasse la improcedibilità del ricorso in ragione del fatto che il tentativo di conciliazione era stato esperito presso un ULPMO incompetente; c) accertasse e dichiarasse l'incompetenza del Pretore adito; d) respingesse il ricorso per carenza di legittimazione passiva, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese processuali. Esperito senza esito il tentativo di conciliazione, all'udienza del 55.99 la causa veniva discussa ed il Pretore pronunciava sentenza dando immediata lettura del dispositivo.
Motivazione 1) Ai fini della decisione del presente giudizio e assorbente rilevare che è pacifica fra le parti la carenza di legittimazione passiva di C.A.. La stessa ricorrente, nell'atto stragiudiziale di rinuncia al ricorso notificato a controparte in data 28.1.99, ha infatti dato atto del fatto che il rapporto di lavoro oggetto di causa era intercorso solo con G.M. vedova C. e non con C.A.. 2) Peraltro, a fronte di tale atto di rinuncia e dell'espressa ammissione del difetto di legittimazione passiva della convenuta, la costituzione di quest'ultima ha rappresentato un atto processuale del tutto inutile. Si osserva infatti che, contrariamente a quanto sostenuto in memoria, la rinuncia al ricorso era del tutto valida e, se accettata, avrebbe potuto portare ad una pronuncia di estinzione del giudizio. A tale proposito appare indispensabile chiarire che, se pure e vero che la rinunzia agli atti non tollera riserve o condizioni, e tuttavia ovvio che tali riserve e condizioni devono afferire a diritti ed a fatti appartenenti, anche implicitamente, al giudizio. Ciò posto, si osserva che nel caso di specie invece la ricorrente, dopo aver agito contro la convenuta deducendo un rapporto di lavoro facente capo a quest'ultima, in sede di rinuncia stragiudiziale si era riservata di instaurare, in futuro, un'azione avente una 'causa petendi ' e presupposti di fatto del tutto diversi ed incompatibili con quelli posti a base dell'azione oggetto del presente giudizio. La 'riserva' concerneva infatti la sola possibilità di agire nei confronti di C.A. quale erede di G.M., in ragione della sussistenza di un rapporto di lavoro facente capo a quest'ultima. È quindi chiaro che l'atto di rinuncia, relativo ad un giudizio fondato su di una legittimazione passiva 'iure proprio', non conteneva alcuna 'riserva' tale da inficiare la validità dell'atto. 3) Motivi di equità, in ragione dell'oggetto del giudizio, e la inutilità della costituzione della convenuta inducono a disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.
P.QM. Il Pretore, visto l'art. 429 c.p.c., cosi provvede: dichiara il difetto di legittimazione passiva della convenuta; compensa le spese.
Monza, 5 maggio 1999 Il Pretore |